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Cinema

16.09.08
Com'è triste Venezia...racconti di cinema dal Festival

di ROBERTO FERRETTI

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Marco Müller, riconfermato direttore della biennale cinema di Venezia (nonostante le polemiche dello scorsa edizione), ha tentato di tutto per svecchiarne l’immagine. La cerimonia d’apertura della 65’ Mostra Internazionale è stata accompagnata dalla posa della prima pietra del nuovo palazzo del cinema, la cui ultimazione è prevista per il 2011.

C’erano i presupposti, dopo i successi di Cannes, per confermare il momento positivo del cinema italiano, con ben quattro film in concorso. Il premio Oscar, Dante Ferretti, aveva firmato la nuova scenografia che ha campeggiato davanti alla Sala grande, con tre leoni giganteschi, i quali in una sorta di arrembaggio, squarciano un drappo bianco per impossessarsi del tappeto rosso. Passata l’agitazione per il film inaugurale dei fratelli Cohen, con gli immancabili Brad Pitt e George Clooney a far sognare le ragazzine in laguna, appariva palese il tono dimesso del clima festivaliero, rimarcato da un sensibile calo delle presenze sia tra gli addetti ai lavori che tra gli accreditati. Qualcuno ricercava la motivazione principale, nell’assenza di grandi star Hollywoodiane; altri vedevano nella proliferazione di Festival in giro per il Mondo, la causa della dispersione dei lavori che in un anno vengono prodotti. I più catastrofisti, invece, imputavano al progressivo disfacimento del nostro pianeta e nella incapacità nel risolvere i problemi di sempre, la fonte di una pandemia che deprime la creatività dei cineasti. “Se l’umanità non sa fare di meglio che auto-distruggersi, pure i singoli desiderano partecipare a questa folle corsa”. 

Il risultato finale è stato un Festival all’insegna della lentezza e dell’autolesionismo. Anche le pellicole che ci sono apparse degne di nota sono imbevute di questo malessere. Lo si trova nel film di Ozpetek “Un giorno perfetto” con il protagonista maschile interpretato dal bravo Valerio Mastrandrea che si spinge fino al gesto più estremo nei confronti di se stesso e dei propri familiari; o nel film vincitore del Leone d’Oro: ”The Wrestler” dove un gigantesco e fantastico Mickey Rourke impersona la figura di un vecchio lottatore di wrestling che, tra antidolorifici e steroidi anabolizzanti, continua imperterrito a massacrarsi cimentandosi, nonostante l’età, in patetici incontri di serie B. La commovente storia “Goodbye Solo” vede pure qui un impiccione taxista senegalese che in una città degli Stati Uniti si appassiona alla vita di un anziano e decide di accompagnarlo ovunque nel tentativo di farlo desistere da propositi di suicidio. Persino la bravissima vincitrice della “Coppa Volpi”, come miglior interpretazione femminile l’attrice francese Dominique Blanc nel film “L’Autre”, interpreta una donna sola per scelta ma incapace di uscire da una vorticosa e autodistruttiva paranoia. Anche nei lavori che arrivavano d’oltre oceano si sono viste figure femminili votate all’auto-demolizione. Charlize Theron, nel bel film “The burning plane” di Guillermo Arriaga (all’esordio alla regia ma già sceneggiatore di Inarritu), interpreta un madre che  si abbandona a gesti autolesionisti per dimenticare l’incubo di un suo atto folle. Meno drammatica l’ultima fatica di Jonathan Demme “Rachel getting married”, commedia agro-dolce nella quale una sorella problematica, interpretata da Anne Hathaway, ritorna a casa da un centro di recupero per il matrimonio della sorella.
Dopo tanti film deprimenti la visione di un film allegro veniva accolta da grandi applausi e risate corali. Come nel caso dell’inossidabile Takeshi Kitano per la sua ultima fatica: ”Achille e la tartaruga”, dove si seguono le vicissitudini di un pittore, partendo dall’infanzia sino all’età matura, attraverso la delirante e infaticabile ricerca di riconoscimento per le proprie strampalate creazioni. Molto divertente anche un film malese ”Sell Out” presente nella sezione “Settimana internazionale della critica”, grazie a un misto di musical e comicità alla Monthy Pyton. Questo lavoro “low cost” disegna un profilo grottesco ma tristemente calzante della società moderna sempre più globalizzata ed estraniante.
Bene l’unico film italiano premiato: “Pranzo di ferragosto” che, pur arrivando dalla sezione collaterale ”la Settimana Internazionale della Critica”, è stato in  grado di strappare il “Leone del futuro” come opera prima. Il regista: Gianni Di Gregorio, esordiente a 56 anni, con solo 500 mila euro ha prodotto un piccolo gioiello facendo recitare quattro anziane signore per la prima volta davanti a una cinepresa. Sbaragliando le grandi produzioni internazionali è riuscito a farsi largo nelle sale con solo 20 copie e ora, sull’onda del passa parola, è stato portato a 400 copie. Una tenera storia girata in breve tempo per non perdere i pochi fondi reperiti e con tutte attrici non professioniste decisamente avanti negli anni. Dalla sezione “Orizzonti”, il film di Marco Pontecorvo (figlio di Gillo), ha fatto il pieno d’applausi con il suo lavoro “PA-RA-DA”. Ambientato nel 1992  nella Bucarest di Ceausescu, subito dopo la  sua caduta, racconta la storia del clown franco-algerino, Miloud Oukili, il quale fece riemergere dalle fognature, dove si rintanavano, decine di bambini fuggiti dagli orfanotrofi, con un duro lavoro di persuasione basato sull’arte clownesca, per conquistarne la fiducia. Un piccolo film che sicuramente faticherà a rimanere nelle nostre sale ma capace di far sorridere e commuovere, dimostrando come già, nella scorsa edizione, che solo lontano dal concorso ufficiale si possono trovare lavori italiani meritevoli di maggior fiducia.

 


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2007 La Fornace